Esistono luoghi carichi di fascino e di mistero. Luoghi che sospirano, che ispirano, in cui anche il silenzio pesa e sussurra ricordi, evocando atmosfere magiche.
Luoghi che sono sorgente viva di fascinazione. E il cimitero monumentale di Noto è uno di questi: sito su un’altura, all’ingresso del “giardino di pietra”, sembra il milieu ideale in cui vivi e i morti si incontrano indisturbati senza far rumore.
Qui, il primo e il 2 novembre, si è tenuto per il sesto anno consecutivo uno spettacolo che porta il teatro fuori dallo spazio scenico chiuso, e lo lascia libero di andare, tra lapidi in cui è incisa la Storia. Un teatro itinerante per una Storia, quella della comunità, che si anima, che supera le frontiere del marmo freddo e per un momento sveglia chi riposa, portandolo in vita, di fronte a uno spettatore protagonista a sua insaputa di una memoria antica.
Questo (e tanto altro) è Dormono sulla collina, la passeggiata tra i ricordi di straordinari netini con la regia di Sabina Pangallo. Una sorta di Spoon River nostrana che rievoca ricordi e fatti indelebili della città decantata dal Cesare Brandi, per ricordare quel senso di appartenenza e tradizione, in occasione della commemorazione dei defunti, e creare così quel ponte invisibile tra passato e futuro, eretto con la calce della memoria, imbastito con mattonelle su cui si stagliano volti, da cui si odono voci perché loro che dormono sulla collina, di certo, hanno ancora messaggi da trasmettere.
L’edizione di quest’anno è stata in versione antologica: monologhi già ascoltati e un solo inedito, quello del tipografo Francesco Zammit che tuona, puntando il dito contro le nostre coscienze: “Amare la città significa salvarla dalle offese del tempo“. Due Virgilio d’eccezione hanno accompagnato il folto e composto pubblico lungo il tragitto: Alessandra Macca e Luisa Gennaro. Gli attori, invece, sono sbucati da posti reconditi o dalla folla, presentandosi di volta in volta, destando stupore, provocando la pietosa degli astanti, con tecnica che ammicca la scuola dantesca. I testi curati da Erminia Gallo e Cettina Raudino per Toponomastica Femminile, la quale ha realizzato il monologo di Gaetana Midolo, spiccano per la fedeltà alla lingua delle origini, per la ricercatezza lessicale, per un fraseggio vocale che giunge fresco e la sua cadenza suona piacevole alle orecchie nel presente.
La ricerca storica è stata condotta da Francesco Balsamo e Alberto Frasca. Superba, comme d’habitude, la regia della Pangallo: caparbia e lungimirante, Sabina che avevo salutato quest’estate al termine di “Gli invisibili“, trova sempre la formula per commistionare arte e vita, attraverso l’arte della scrittura e della recitazione, estasiando lo spettatore che fino all’ora prima era inconsapevole di ciò che lo avrebbe atteso: la catarsi, limpiato e ora salvato dal peccato dell’oblio e dell’ignoranza, grazie all’immersione nel fiume della memoria collettiva di una comunità: Netum, Noto.
Oggi ho conosciuto lo scrittore e giornalista Corrado Sofia, la sarta Grazia Recupero, la giovane Gaetana Midolo, morta nel 1908 nell’incendio di una fabbrica newyorkese a soli 15 anni, il maestro Giuseppe Scopa, il prestigiatore Biagio Manfrè e il tipografo Francesco Zammit.
Ognuno mi ha caricato di una grande responsabilità: ricordare. E per non dimenticare annoto qui le suggestioni che un pomeriggio al camposanto hanno evocato in me e in chi ha compreso il sottile confine tra l’ora e l’allora, tra quei siciliani straordinari che oggi osservano le nostre azioni e che forse non dormono sulla collina perché comprendono la necessità di stare ancora vigili.

Se non dormono, vegliano augurandosi di certo che questa madre terra fertile di sentimenti forti e passionali possa continuare a generare e illuminare uomini di intelletto e ingegno. Perché se è vero che l’uomo non può sottrarsi alla morte, è anche vero che il suo esempio sì. E se la persona muore, il personaggio resta assieme alle opere, gli intenti, le azioni che aggiungono valore al già inestimabile valore di questa terra impareggiabile. Terra in cui l’arte è sostanza e, da secoli, nutre gli spiriti generando bellezza.
Grazie, Sabina!
