
Bellezza e insularità sono alla base della dannazione del Siciliano.
Il Siciliano esperisce le diverse forme di bellezza sin dal grembo materno, quando non si parla di cibo in prossimità di una partoriente. Se ciò accade, la si ricopre di prelibatezze per scongiurare l’insorgenza di macchie sulla pelle del nascituro, che prendono il nome di voglie. Vi è, però, una voglia insita nel dna del bambino: è quella di Sicilia.
Come il neonato che, anche quando attaccato al seno materno, continua a nutrirsi attraverso un cordone spirituale che mai si recide sul serio; così il Siciliano, crescendo, assapora, talvolta per osmosi, altre senza coscienza, luoghi, monumenti, cibi, che si tramandano in una narrazione gratuita senza tempo.
Quando un Siciliano si allontana dall’isola non lo fa mai per sempre. Dapprima, si erge a titano che segue la voce delle sirene del continente; ma, subito dopo, anche quando vive nel migliore dei luoghi possibili, prendendo uso, costumi, accenti locali, si manifesta la malinconia, che rivela l’impossibilità di sfuggire alla propria terra come sentimento primordiale.
E’ questa l’essenza del Siciliano: malinconico e tragico, astuto e ironico, solare come chi risplende in ogni dove, passionale come la lava che affascina, scorre e travolge.

Il Siciliano è teatrale, e recita pièce che trovano dimora nei teatri, in pietra o damascati, incatastonati da Est a Ovest, da Nord a Sud della Trinacria.

Il Siciliano odia e ama. Se odia, ti si rivolge in dialetto perché la lingua acquisisce maggior potenza; se ama, lo fa in dialetto perché la lingua acquisisce maggiore poeticità.
Il Siciliano odia e ama maledettamente questa terra: la odia quando mancano i presupposti per viverla; la ama quando mancano i volti con cui ha vissuto, i saperi e i sapori che ha conosciuto. Mancherà per sempre perché rimane l’impronta nella memoria dannata. Si possono elencare infiniti difetti del Siciliano ma scompaiono di fronte alla sincerità dell’amore fedele e profondo che lo lega, vita natural durante, a chi gli ha dato i natali.
E l’augurio, attraverso la scrittura di queste righe, è che la Sicilia torni a innamorarsi consapevolmente della sua Bellezza, e che i Siciliani continuino a cantarne le gesta, a raccontarne le storie. Basta venire in Sicilia per essere vittime di un sortilegio bellissimo. Perché in fatto di magie e di incantesimi in quest’isola tutto è possibile. Anche che diventi casa per lo straniero. Perché se la forma della Sicilia potrebbe richiamare quella golosa dell’arancin*, è più romantico pensarla come speculare, con i suoi contorni da smussare, a quella di un cuore: forte, robusto, pulsante.
Per sentirne il ritmo, a sera, è sufficiente farsi cullare evocando il ricordo dello scruscio del mare. Un suono che il Siciliano mantiene vivo respirando, ad ogni minima occasione, la brezza delle sue incantevoli coste, che raggiunge quando sente che sta per mancare l’aria.
Da costa a costa, noi Siciliani siamo costole di un’unica grande madre terra: si chiama Sicilia, non ha un cognome, ma se dovessimo attribuirne uno sarebbe sicuramente MERAVIGGHIA.
Alessandra Brafa
Bartolomeo
Bravissima come sempre. Un abbraccio
Meli Matteo
Quando hai ragione… Hai ragione! Parole Sante! Bravissima cm sempre… Più di sempre! Hai descritto il nostro DNA… In modo eccelso!