
La prima volta che ho sentito parlare della Fiera di Giarratana avevo poco più di 16 anni.
Non sapevo esattamente di cosa si trattasse; so solo che quella volta papà partì prima che fosse l’alba alla volta del paesello che la mia breve memoria storica collocava più in là, oltre Frigintini, superata la frazione di San Giacomo, al termine di tornanti e curve, in un’altura.
Un luogo affascinante, detto la perla degli Iblei, era Giarratana: paese arroccato in una dimensione altra rispetto al mio orizzonte quotidiano. Quell’anno lì, il 2001, papà tornò a casa con una novità: un asino che battezzammo Ciccio. Il primo di una dinastia di ragusani che, nella mia campagna, pascolarono e pascolano liberamente per i campi, senza scopo alcuno, se non averli, accudirli, prendercene cura.
Gli anni 2000 si aprono così: con la scoperta di una fiera lontana dal mio concetto di mercato come piazza in cui acquistare vestiti da banco, teli da bagno e scarpe in sconto. Quella era una fiera diversa, da uomini di sostanza e di parola; a tratti leggendaria per la sua storia e il carattere di autenticità. Le estati passarono così, con la certezza che ad agosto, mio padre avrebbe officiato il rito della fiera, con la complicità della mia madrina Graziella residente, difatti, lungo il corso principale della città nota al mondo per la sua cipolla extralarge.
Qualche anno più tardi ebbi anche l’ardore di palesare la mia voglia di visitare la fiera: un proposito puntualmente disatteso perché sopraffatto dalla mia attiva partecipazione, in età giovanile, alle movida nei lidi e chalet della costa ragusana.
Per anni è andata così fino ad oggi: anno domini 2019. L’anno della mia svolta green, lo stesso in cui per vicissitudini familiari, improvvisamente, comprendi l’impellenza di voler ripercorrere le orme dei padri per apprenderne – incalzati dalla furia del tempo che passa- riti e tradizioni, da fissare, da ripetere, per non dimenticare, per tramandare, certi che domani potrebbe oramai già essere tardi.
Partecipare alla fiera mi ha permesso di compiere un viaggio a ritroso, scoprendo le sue origini. Ho guidato fino a Giarratana riempiendo la vista di scorci e paesaggi, di campi incorniciati da muri a secco, la cui fermezza è stata ingentilita dalle indescrivibili sfumature di colore che regala il sole che sorge. Ho appreso che la fiera si tiene in occasione ??? ??????? ?????????????? in onore di San Bartolomeo Apostolo, Patrono Principale di Giarratana. La festa delle feste, quella per cui il paese nel cuore degli iblei si mobilita e i fedeli rispondono con gioia, affollando le vie e il corso principale, XX settembre, arrivando dall’intero circondario in segno di devozione al patrono. Non mancano gli eventi che oramai sono appuntamenti fissi: la Sagra della cipolla, ad esempio, che ha messo in archivio la 41esima edizione, e la Fiera del bestiame.
Le origini di tale fiera affondano le radici nell’anno 1605 quando a Giarratana venne concessa dal Papa Paolo V una reliquia di San Bartolomeo. Negli anni, editti e atti rafforzarono la valenza e l’importanza del patrocinio del Santo su Giarratana ed ebbero come risultato anche l’incremento della fiera che, avendo raggiunto una discreta fama nel Sud Est dell’isola, ricevette un’investitura reale prima, e successivamente dall’autorità ecclesiastica, salendo di diritto nell’olimpo delle più importanti fiere dei “panni e del bestiame” di Sicilia.
Il terremoto dell’11 gennaio 1693 che rase al suolo le città del Val di Noto, non graziò neanche questo comune che oggi conta neanche 3000abitanti, ma anche qui fu la resilienza a guidare i suoi abitanti. La nuova Giarratana venne ricostruita più a sud, sulle falde di una ridente collina chiamata Poju di li ddisi, e nacque ufficialmente il 26 agosto dello stesso anno. Si iniziarono ad edificare le chiese, nella stessa posizione che avevano nell’abitato pre terremoto. A nord la basilica di Sant’Antonio abate, in posizione centrale la Chiesa Madre dedicata a Maria SS Annunziata e San Giuseppe, a sud la chiesa di San Bartolomeo.

La fiera andò avanti e divenne il motore per dare slancio all’economia agricola e pastorale della cittadina: per più di 150 anni rimase immutata nella forma e nella sostanza. Migliaia di persone giungevano a Giarratana foraggiando l’economia agricola dell’area degli Iblei. Un fenomeno che ha la sua prima battuta d’arresto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso quando gli assetti economici iniziano a mutare assieme alle abitudini della gente.
La fiera di San Bartolomeo a Giarratana è uno degli eventi più datati, il più antico di certo, che si occupa di zootecnia in provincia di Ragusa.
Ciò che rimane oggi di quella grande fiera è la minima parte di quel che deve essere stato, ma tanto basta per richiamare ancora una moltitudine di forestieri, imprenditori, turisti anche solo per il piacere di curiosare tra queste verdeggianti colline sulle pendici del Monte Lauro e assistere anche ad entusiasmanti esibizioni di cavalli Andalusi e Frisoni, montati da esperti cavalieri.
Cambiano i protocolli e i negoziati, ma è sempre un’emozione vedere giungere sul sito i “feroti” con i loro animali e i venditori degli antichi utensili per il lavoro dei campi messi a disposizioni di eventuali compratori. Stanno in bella vista, inoltre, le cipolle di Giarratana, fiere e dorate, ammassate in tutta la loro regalità, pronte ad attrarre i golosi.
Per tanti questa rimane ancora “a fera ro patrunu” e, sebbene alcune abitudini inizino a perdersi, è bello ritrovarsi nel ricordo, essere presenza per permettere alla tradizionale di rivivere affinché, ogni anno, si compia all’alba, in via Mandrevecchie, il miracolo della memoria.
Qui dove tutto è calore, colore, suono, odore, magia e vita che dà senso al tempo, ricalcando l’impronta di un passato che si rinnova nel presente. Un esempio? Il gelato cipolla e cioccolato da gustare rigorosamente al termine della lunga passeggiata. Un gusto morbido e intenso che fisserà al palato l’emozione di aver letto e in parte anche scritto una nuova pagina di storia.
Venite a Giarratana, datemi retta, dove la tradizione è pulsante. Terra generosa e ospitale che ti accoglie e in cui si coltiva generosa la stella dei poveri, l’ortaggio con l’anima: la cipolla, la più umile regina della tavola che, “avvolta in delicata carta”, esce dal suolo e ci fa piangere senza mai affliggerci, bensì ristorando corpo e cuore.