
Parlare di cibo in Sicilia è parlare di storia. Il cibo unisce i popoli e mai come nella gastronomia siciliana quest’unione di opposti e la commistione di ricette tramandate, è risultata felice.
Dalla salsiccia Igp di Palazzolo al pomodoro Pachino fino al cavolo vecchio di Rosolini, sono innumerevoli gli esempi che ci ricordano un’assoluta verità: sull’isola la dieta mediterranea, riconosciuta dall’Unesco come patrimonio da tutelare, trova la sua sintesi perfetta.
Pochi luoghi al mondo offrono un repertorio di cibi così ricco, fantasioso e saporito come accade in Trinacria. Terra del mito, crocevia di arte, incontro di cucine millenarie: se vi siete chiesti “Perché in Sicilia si mangia così bene?“, cerco di fornirvi un possibile spunto, perché mai potremmo cimentarci nella definizione di un’assoluta risposta.
Perché in Sicilia si mangia così bene?
La Sicilia è una terra che ha subito tante dominazioni, stratificatesi negli usi e costumi, nel dialetto ma anche e soprattutto nella tradizione gastronomica tanto eclettica quanto sorprendente. Dalla millenaria sedimentazione di culture di cui è stata ricettacolo, scaturiscono modi di vivere tramandati di generazione in generazione, di cui il canale privilegiato è storicamente la cucina. I luoghi della gastronomia sono ribalte sontuose, fantasmagorie di forme e di colori. Ne è un favoloso esempio la cassata, simbolo della pasticceria, esempio di complessità strutturale, ricercatezza e commistione cromatica, che mantiene lo stesso ingrediente principe, la ricotta, modificando le sue caratteristiche a seconda della città in cui si gusta.
Il contributo dei popoli
La cucina siciliana nasce così e porta i segni delle popolazioni che l’hanno vissuta e dominata. E’ permanente riedizione di un sapere gastronomico rimodellato grazie ai contributi apportati da ogni nuova civiltà.
Se ai Greci si deve la coltivazione dell’ulivo e la cultura del pane ma anche la ricotta salata, il miele e le olive conciate; ai Romani si attribuisce la passione per la focaccia, la farinata di fave, il macco e il modo di cucinare le seppie; ai Bizantini il vezzo dei formaggi piccanti; agli Arabi la coltivazione degli agrumi e l’uso delle spezie ma anche la tradizione del cuscusu (nome siciliano dato anticamente al cous cous); agli Svevi la passione per il baccalà; agli Aragonesi l’abilità pasticcera e agli Spagnoli l’introduzione di prodotti “americani”, come pomodoro e cacao, ma anche il largo ricorso alla melanza.
La cucina siciliana
A questa storia di viaggi, import e contaminazioni se ne aggiunge una nostrana: le due realtà socialmente ed economicamente esistenti in Sicilia, il volgo e gli aristocratici. Così, la cucina povera si ingegnava con estro per sostituire gli alimenti cari con altri nutrienti e gustosi (da qui ad esempio l’usanza domenicale di cuocere u sucu fintu); mentre la cucina aristocratica attingeva da una terra prolifera e generosa, capace di offrire prelibatezze gastronomiche di mare e monti. Sarà chiaro perché la cucina siciliana parve ad Alfonso Daudet “un’esaltazione del barocchismo culinario spagnolo”.
Mix culturale straordinario
Un mix culturale straordinario per un’arte culinaria unica che oggi si mostra fiera in tutte le variegate specialità della Trinacria, capaci di stuzzicare anche i palati più fini: dallo street food, alla cucina rustica a quella gourmet. In Sicilia, ogni piatto vale la pena di essere assaggiato perché appartenente a una tradizione gastronomica le cui ricette sono custodite in un territorio costellato di perle naturalistiche e architettoniche di inestimabile valore. Qui fioriscono gli agrumi, i mandorli, i fichi d’India insieme a ortaggi, cereali e frutti di eccezionale qualità. Materie prima di eccellenza che stimolano la fantasia degli chef che si ispirano all’isola quasi fosse una musa, per restituire nei loro piatti ogni giorno il racconto di lunga, romantica, a tratti complicata, pur sempre imperitura, passionale storia d’amore.