L’olio d’oliva è parte integrante del paniere enogastronomico siciliano, prodotto nel rispetto delle prassi produttive con estrema cura, in un’ottica di territorialità e innovazione, mèmori della più antica e fedele tradizione.

Anche quest’anno la stagione olivicola volge al termine, chiudendo l’anno agrario nel migliore dei modi. Dopo l’emozione della prima molitura, quella che tanti agricoltori realizzano durante il periodo coincidente con la fine della vendemmia, che si rivela ideale per garantire un olio extravergine di oliva di assoluta qualità, è ottobre il mese protagonista ma c’è chi attende che gli ulivi siano carichi di gemme verdi e tondeggianti fino al mese di novembre.

Alla luce di questo, qualche settimana fa, ispirata dalla serenità del cielo, dalla bellezza della mia campagna, stregata dallo spettacolo della raccolta che si ripete di anno in anno, ho trascritto le mie impressioni, trascinata dal flusso della memoria.

Ph. cr. Tommaso Latina.

Gli ulivi, alberi che fomentano la mia fantasia, mi richiamano alla mente i tempi della bucolica infanzia in cui capì che cultura e coltura non solo avevano la stessa radice latina, da cultus, participio passato di còlere, cioè coltivare, entrambi assolvevano la stessa funzione: coltivare l’intelletto e i campi al fine di nutrire. Non a caso ripeteva Cicerone: cultura vitis cultura animi.

Che la terra sia il fondamento delle società preindustriali è un’ovvietà che non chiede di essere dimostrata, ma solo ribadita. La raccolta delle olive, ad esempio, è retaggio della più autentica tradizione della Sicilia, così come di tutti i Paesi del bacino mediterraneo che, contando su un clima mite, costituiscono un humus ideale per il benessere di esemplari anche secolari. E’ ai coloni greci che si stanziarono a est e sulla costa sud che si deve l’introduzione della vite e dell’olivo sull’isola. Ma molto probabilmente spettò agli Arabi, qualche secolo dopo, trasmettere alle popolazioni degli Iblei  le conoscenze delle tecniche agricole. L’olivo ha accompagnato lo sviluppo della nostra e delle civiltà vicine e una testimonianza certa si apprende già nelle parole di Tucidide che, nel V sec. a. C., così scriveva: “I popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’ulivo e la vite”.

Uva e olio rappresentano ancora oggi il fulcro dell’agricoltura siciliana. Se in passato erano i contadini a compiere il miracolo della trasformazione dell’uva in vino e dell’oliva in olio, nella contemporaneità, quasi in controtendenza col concetto di globalizzazione, sono sempre più gli abitanti che scelgono di auto-produrre l’olio, contando sugli alberi che adornano orti e cintano giardini privati. Alla base resta sempre il fattore umano. La raccolta delle olive è, infatti, in primo luogo un’esperienza che traduce pienamente il concetto di convivialità.

La plurisecolare storia dell’olio in Sicilia si alimenta di nuove pagine scritte da cultori della terra, senza dimenticare quel tempo antico (e a tratti anche moderno), in cui, come atto di parità di genere e di accesso al lavoro, donne e ragazzi si riversavano sui campi per raccogliere il frutto tondo. Ora come allora, i gesti restano gli stessi: gli abbacchiatori (in dialetto i cutilaturi) stendono grandi teli sotto l’albero, fino a cingerne il tronco, colpiscono con lunghe pertiche (furcuna o canni) i ramoscelli carichi di olive raccolte, poi, dai cugghitura, e introdotte in appositi sacchi da trasportare al trappeto. In passato, le olive raccolte passavano attraverso una macina di pietra che veniva fatta girare dai muli. La pasta così ottenuta, come ricorda la storica di tradizioni locali Ignazia Iemmolo Portelli, veniva messa al torchio in appositi contenitori vegetali (i coffi) per la spremitura. L’olio era portato a casa dentro otri e sistemato nelle giare.

Ph. cr. Tommaso Latina.

Oggi, quest’attività è divenuta “ibrida”: i principianti possono optare per una raccolta a mano con l’ausilio del pettine per “accarezzare” e non “violare” le piante, oppure con abbacchiatori e scuotitori elettrici a batteria, con reti a terra per contenere i frutti. In genere, la raccolta delle olive si effettua da fine settembre ai primi di dicembre, dal momento della invasatura alla pigmentazione superficiale del frutto. Mentre, per quanto riguarda l’estrazione dell’olio, andrebbe effettuata entro le 48 ore della raccolta per garantirne la qualità, mediante sistemi meccanici che preservano le caratteristiche peculiari delle drupe.

Lasciati gli uliveti, è interessante continuare il tour sui social per comprendere che l’emozione della raccolta delle olive è oggi considerato un rito, un giorno da segnare sul calendario, una data che, tra lamenti ed eccitazione, interessa intere famiglie perché non c’è santo che tenga, quando il capofamiglia decide che domenica “s’ana cogghijri i ulivi“, la “squadra” si compatta. Nonni e nipoti, suoceri e figli, padri e madri che calpestano teloni verde petrolio, imbracciando canne, pettini e ‘arricciatori’; gli stessi che durante i momenti di pausa si trasformano in rigide tovaglie da picnic, che accolgono briciole di pane o resti di focacce.

Ph. cr. Tommaso Latina.

Concluse le fatiche dei campi, è il momento in cui si giunge al frantoio quello che regala un brivido, o meglio una vera e propria emozione sensoriale. A chi non avesse mai varcato la soglia di un frantoio, basta chiudere gli occhi e immaginare di entrarvi ed essere investito da un odore pungente di pasta di olive misto a olio. Così potrebbe iniziare questo nuovo viaggio. Improvvisamente, il silenzio della campagna lascia spazio a montagne di olive che, rotolando da una parte all’altra, vengono trasportate, cernite, lavate, macinate, scomposte, sprigionando un profumo intenso ed avvolgente che colpisce i sensi e si imprime nella memoria di chi si entusiasma alla visione della colata di olio.

Immancabile una fortuita e quasi rubata degustazione dell’olio prodotto, lo stesso che andrà a condire i pasti, secondo i dettami della dieta mediterranea, di cui questo prodotto è caposaldo. Le caratteristiche al consumo variano a seconda della zona di Sicilia in cui si raccoglie.

Non tutti lo sanno ma, storicamente, all’olio sono stati attributi significati vari: era considerato un bene così prezioso che se se ne rovesciava un po’ per terra o sulla tovaglia, era presagio di disgrazia. Per scongiurare conseguenze nefaste, si ricorreva a un semplice rimedio: si cospargeva la chiazza di sale. Non so se qualcuno continui a farlo ancora oggi, ma questa è forse una delle immagini più nitide che si legano al ricordo di mia nonna. Nonna Margherita, la stessa che usava il prezioso condimento per togliere il malocchio alla gente.

Divulgare la storia e la cultura dell’olio di oliva, tutelando e promuovendo l’ambiente ed il paesaggio olivicolo, sono oggi responsabilità di cui farci carico, per questo ne scrivo. Apprendendo da chi ha il sapere, descrivendo i sapori per invitare a ripopolare le campagne. La mia, quella del Sud Est, che pare un quadro, dove i confini tra un appezzamento di terra e il confinante sono delineati da pietre poste sapientemente a formare lunghe catene di muri a secco che danno carattere al paesaggio.

Un’esperienza idilliaca è il primo passo per ritrovare l’armonia e il benessere fisico ma anche quello psichico, liberando la mente dalle ansie quotidiane e nutrendo lo spirito con l’olio: il vero oro verde degli Iblei.

Commenta

Your email address will not be published.

Utilizziamo i cookie per migliorare la tua esperienza sul nostro sito web. Navigando su questo sito, accetti il nostro utilizzo dei cookie.